Per un reale umanesimo
Il Popolo soggetto primario
“Quello che lo Spirito dice alle Chiese” potrebbe essere una affermazione se citassi i passi dell’Apocalisse, ma il mio vuole essere un interrogativo: “Cosa lo Spirito vuole dire alle Chiese, oggi?”. È fuori dubbio l’insegnamento e la testimonianza di Papa Francesco e, a seguire, dei Vescovi, ma cosa emerge o dovrebbe emergere dal Popolo santo di Dio? Esso è soggetto primario: lo sancisce il Concilio Vaticano II, e lo ripete, come ritornello, Papa Francesco. Sentirsi “un popolo in cammino verso Dio”, “non come esseri isolati”, l’uno accanto all’altro, indifferenti, con la sensazione di estraneità, tranne amichevolmente in cerchi ristretti. Ognuno ha il proprio problema o la propria gioia da esibire in fogge più o meno stravaganti. Al contrario è necessario essere l’uno per l’altro, in collaborazione, in accordo reciproco, pezzi vari di un unico mosaico, vincendo il Divisore che causa l’indifferenza, la contrapposizione, la lotta, l’invidia, la sopraffazione e tutte le forma di violenza.
Il secolo scorso fu lacerato da due guerre mondiali con milioni di morti, distruzioni di ogni genere; da una emigrazione di massa; da ideologie e dittature devastanti; dai postumi della rivoluzione illuministica a quella marxista-comunista al nazi-fascismo; da altri moti sussultori, il 68, al terrorismo di varie forme e tutte sanguinarie e distruttive; dall’involuzione e crisi economica di fine secolo, che perdura oggi, ai problemi bioetici…
Dal Popolo di Dio sorsero movimenti di spiritualità e di apostolato a dimensione super nazionale: dall’Azione Cattolica (Preghiera- Azione- Sacrificio) per “instaurare omnia in Christo” al Movimento dei Focolari (l’unità a Dio e agli altri) al Rinnovamento Carismatico (Risveglio dei carismi dello Spirito Santo), all’Opus Dei, a Comunione e liberazione, ai movimenti di pietà mariana con pellegrinaggi ai luoghi di apparizioni, ai gruppi spontanei critici o di contestazione. Da ricordare anche varie congregazioni religiose maschili e femminili. La loro spinta rinnovatrice ha trovato eco nel grande evento del Concilio Vaticano II.
Non è facile dare una risposta alla mia domanda, ma faccio alcune riflessioni con uno sguardo a partire dall’impegno di ognuno, rimandando ad altro momento la dimensione strutturale – ecclesiale. Riesce il susseguirsi incalzante di “Documenti”, “Dichiarazioni”, ”Convegni” ma anche l’attivismo socio-pastorale, a rendere vivo e operante lo spirito di rinnovamento, più precisamente quella ri- evangelizzazione che è nell’ansia di tutti? Possiamo lasciarci condizionare (comprendere sì), paralizzare dal cambiamento della società in tutte le forme ed espressioni a volte più che provocatorie, intimidatorie? Pur interpretando le esigenze della gente sono possibili le risposte e quali?
Viviamo in un mondo in movimento e non possiamo ignorare i problemi – anche quando ci sentiamo impotenti, le soluzioni non dipendono da noi o possiamo fare poco – dalla fame nel mondo alle guerre, dalla scristianizzazione crescente dell’Occidente alle persecuzioni dei cristiani, dalle immigrazioni ai senza lavoro, dai malati terminali alle devianze giovanili, dalla crisi della famiglia alla immoralità generalizzata, dalla perdita della coscienza alla forza pervasiva e martellante dei mass-media ed altro ancora…
Nell’Incarnazione il Figlio di Dio assume la natura umana (non il peccato) per ribaltarla con il dono perenne e attuale di se stesso. Con la sua Parola. Niente è più innovativo e al contempo anti mondano, controcorrente, del discorso della Montagna, le beatitudini (cfr Mt 5 e Lc 6). Gesù vi fonda la “Parola nuova”, il modo nuovo di vivere e ribaltare la società nelle sue logiche culturali, religiose, morali, sociali, politiche, militari. Bisogna partire da qui. Come? Misurare le nostre azioni, i nostri progetti, le ricorrenti e significative “Note pastorali” e i piani, ogni espressione del vivere e del pensare sulle beatitudini.
Sarebbe utile e proficuo che ci raccontassimo dei fatti, delle testimonianze semplici, umili, ordinarie, per la comune edificazione, per capire che può esserci un altro modo di pensare, agire. Trasformare le scelte della vita in “beatitudine”. La beatitudine è anzitutto possesso di Dio, essere abitati da Lui e ciò avviene nell’amore che diventa preghiera e la preghiera che è voce dell’amore.
Per ogni cristiano non può che essere chiaro, fondamentale, irrinunciabile. “Per me vivere è Cristo… guai a me se non evangelizzo”, confessa Paolo. Ognuno di noi dovrebbe potere raccontare la sua vita, ispirata e tesa al compimento delle beatitudini. Non che sia scontato, tutt’altro ma per questo non si deve evitare il confronto o trovare auto-giustificazioni. La povertà, mitigata “in spirito”- ma proprio in questo più impegnativa – può far paura e più che liberare l’animo, vi si contrappone l’avidità e non avendola ci si acquieta; la sofferenza non può piacere, al più va sopportata, tentando, come è giusto, di eliminarla, mitigarla in ogni modo e tanto basta. La mitezza si vede più come un fatto caratteriale, pur nell’impegno di evitare contrasti, arrabbiature. Certo non si vuole fare la parte del fesso, del senza carattere. Aver fame e sete della giustizia se ci si trova di fronte a palesi ingiustizie individuali, molto più se sono strutturali, sociali: come si fa? Si allargano le mani. La misericordia, se non è vista come debolezza, è sempre difficile quando si subiscono torti, e se bisogna perdonare (settanta volte sette è un po’ troppo), i distinguo sono a getto. La “giustizia” scatta se viene trascurata dagli altri. Per se stessi qualche motivazione si trova. Tanti “se” coloriti da “ma”. La purezza del cuore deve fare i conti con la fragilità: “Lo spirito è pronto ma carne è debole”. La mentalità del mondo inquina la mente, il cuore, i costumi. La pace è desiderabile ma non dipende solo da noi e, se ci coinvolge, le barriere non sono facili da superare. L’essere perseguitati crea apprensione, difesa, vittimismo. Alla fine che resta?
Comunque non è proprio sempre così: ognuna delle beatitudini pone degli interrogativi, chiede delle scelte, a volte delle costrizioni, ci si prova a farle con serenità, con fede, alla sequela del Signore, consapevoli che se “Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini, lungi da me, Satana” (Gesù a Pietro) e ai discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Mt 16,22 -24).
È saggio non mettersi avanti l’asprezza della montagna, le poche forze, le mille stanchezze e dubbi, ma “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani… A ciascun giorno basta la sua pena” Mt 6,33-34. Ma “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,1-8).
Una aggiunta a margine, non fuori campo: ci si può chiedere come il nostro Servo di Dio Mons. Mario Sturzo con l’azione e gli scritti contrastò l’idealismo a-cristiano, si oppose al socialismo marxista ateo e al liberalismo economico e massonico; come rispose ai problemi sociali, volle l’impegno del clero e incrementò la vita cristiana del popolo?
Don Pino Giuliana
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