Cambiamento, Educazione, bellezza

Una riflessione di Mons. Gisana per la visita di Papa Francesco a Piazza Armerina

La visita di Papa Francesco, nella diocesi di Piazza Armerina, è apparsa a molti una scelta inconsueta, al di fuori di un certo protocollo che si lega ad eventi o circostanze celebrative. Ma è proprio quest’aspetto di imprevedibilità, di sorpresa a far capire il senso di quest’incontro. La decisione del Santo Padre s’iscrive nell’ottica di un’azione pastorale, i cui lineamenti lasciano intuire lo zelo di un testimone che incarna la paternità di Dio. Egli è come quel pastore che lascia le novantanove pecore sui monti per cercare quella perduta (cf. Mt 18,12). L’evocazione della parabola di Gesù si lega ovviamente all’atteggiamento di questo Papa, attento a quello che egli stesso, nella prima udienza generale, definì «periferie dell’esistenza»: una sollecitudine straordinaria che mette in evidenza il fervore e la premura di un pastore che ha cura delle persone che Dio gli ha affidato. La motivazione si scorge dunque nell’orientamento originario che Papa Francesco ha voluto dare al suo pontificato. Prendersi cura dell’altro e in particolare di colui che vive condizioni di marginalità costituisce l’unica istanza possibile al senso di questa visita.

La diocesi di Piazza Armerina, situata al centro della Sicilia, vive contraddizioni tipiche di un meridione in difficoltà a rinascere. Èvivido un paradosso: se da una parte il territorio mostra risorse notevoli a livello turistico e agro-alimentare, dall’altra lascia intravedere i segni di un inaudito sottosviluppo elevato a sistema. Affiora infatti con preponderanza lo spopolamento progressivo delle città: un fenomeno drammatico che sta impoverendo l’intero lembo di questa terra; una situazione assurda che soffoca la vitalità di un popolo che, al contrario, desidererebbe mutare la condizione di oppressionein cui si trova. L’accezione può sembrare esasperata, ma in realtà l’impressione è di scorgere nel volto delle persone un misterioso velo di rassegnazione, di quella forma accidiosa che non sempre è causata dalla propria inettitudine. Nasce pertanto spontanea una domanda: quali sono le cause che tengono sotto scacco questo territorio, bloccato nell’esprimere la propria creatività, nel tentare soluzioni che potrebbero rilanciarlo, nell’accogliere forti spinte progettuali? La complessità degli effetti induce a pensare che molteplici sono i fattori che paralizzano ogni tentativo di ripresa; ma l’elemento che si staglia con preponderanza è un tempestivo bisogno di cambiamento di mentalità. Ènecessario che si avviano processi che investano nella formazione umana e spirituale, tenendo conto che un serio cambiamento si sottopone a lungimiranti proposte che reclamano sacrificio, docilità, abnegazione.

La mentalità, di cui bisogna con impellenza purificarsi, è quella individualista. Non si tratta qui soltanto di contrastare le variegate organizzazioni criminali di stampo mafioso che, purtroppo, continuano a reprimere nel meridione qualificate intelligenze di giovani propositivi, ma anche di debellare quel modo di pensare sospettoso, dedito agli interessi personali, a profitti indomiti che non favoriscono la cooperazione e l’associazionismo in genere. Èassodato che la soluzione alle odierne povertà di natura soprattutto economica si ravvisi nella significativa proposta a condividere le proprie capacità imprenditoriali. La creatività nel lavoro non è frutto soltanto di attitudini personali, di capacità nell’investire, di rischio nell’intraprendenza, di lungimiranza nelle proposte: insomma questioni di marketing e sales management, bensì di una ferma apertura alla collaborazione, a quel sintomatico modo di lavorare in rete che in ambito ecclesiale si chiama comunione. Il cambiamento, che si auspica per questo territorio, nasce quindi dallo sconvolgimento delle relazioni, dalla scelta di consegnarsi l’uno all’altro con fiducia, ottimismo, speranza, voglia di lavorare assieme: il cambiamento è una questione che riguarda soprattutto l’ambito dell’educazione. Qui sono interessati quegli spazi di formazione, come famiglia, scuola, parrocchia, a partire dai quali si strutturano identità che lasciano il segno di personalità intraprendenti. Non basta avere capacità imprenditoriale; occorre che la creatività si esprima in quelle molteplici forme di collaborazione, dalle quali non soltanto nascono soluzioni per l’attuale crisi economica, ma consentono altresì di porre le basi per una società, ove la cultura della solidarietà, espressione di uno stile di vita, di apertura e rispetto delle differenze, della condivisione e del dono reciproco, diventa un modo di vivere, di comporre relazioni, incontri e scambi. Ènella formazione che bisogna operare con tempestività, coinvolgendo tutti gli ambiti educativi.

Questa situazione d’emergenza, che obbliga ad un serio ripensamento di tutte le istituzioni, politiche, culturali e religiose, è la motivazione che sta alla base della visita di Papa Francesco. La sua attenzione per questa periferia, al centro della Sicilia, nasce dalla necessità a stimolare e illuminare coloro che praticano processi educativi importanti per la crescita della gioventù. Si tratta di una sfida particolarmente gravosa, che compromette tutti e che persino dà alla visita siciliana un senso unitario. Non si dimentichi che il beato Pino Puglisi, di cui si ricorda il venticinquesimo del martirio, è stato un presbitero impegnato pastoralmente nella formazione. L’incontro con il Papa, alla luce di questo santo educatore, è motivo di sprone, affinché ciascuno senta la responsabilità di impegnarsi a fare qualcosa e migliorare le condizioni di questo territorio. La rigenerazione nasce da una consapevolezza che ha forte incidenza educativa: questa terra, oltre ad essere feconda nelle sue copiose risorse, è manifestazione di una bellezza straordinaria che indurrebbe tutti a un cambiamento radicale. Occorre soltanto capire che la dimensione estetica è un principio educativo fondamentale, come peraltro raccomanda Papa Francesco nella Lettera enciclica, Laudato si’al n. 215: «Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli».

Rosario Gisana, Vescovo di Piazza Armerina

pubblicato su l’Osservatore Romano dell’11 settembre 2018